Fasti (Ovidio)

Fasti
Mosaico romano con i 12 mesi dell'anno, III secolo, da Thysdrus (El Jem); Museo archeologico di Susa, Tunisia
AutorePublio Ovidio Nasone
1ª ed. originaledal 9 d.C.
Editio princepsBologna, Baldassarre Azzoguidi, 1471
Generepoema epico
Lingua originalelatino

I Fasti sono un'opera di Ovidio, un poema in distici elegiaci a carattere calendariale ed eziologico che espone le origini delle festività romane, ad imitazione degli Aitia ("Cause") di Callimaco, di cui riprende, oltre che il metro, anche alcune soluzioni formali e narratologiche.

L'opera, scritta molto probabilmente per aderire alla propaganda moralizzatrice tipica dell'età augustea, fu progettata in un totale di 12 libri, secondo l'andamento del calendario: con essa l'autore - che probabilmente attingeva a Varrone Reatino e a Verrio Flacco - si era proposto di spiegare l'origine della differenza tra i giorni fasti (dalla parola latina "fas", lecito) in cui i Romani potevano trattare gli affari pubblici e privati, e i giorni infasti, nei quali era vietato. Al tempo stesso il poeta, parlando con il dio di turno, indaga e rivisita, mese per mese, tutti i molteplici riti, le festività e le consuetudini, tipiche del costume e dell'uomo romano, che, al suo tempo, si praticavano senza ormai conoscerne l'esatta origine o valenza.

Tuttavia, dei Fasti si sono conservati solamente 6 libri, da gennaio a giugno: questo fatto si spiega con la famosa relegatio (esilio che non comportava la perdita dei beni né tantomeno dei diritti civili) che colpì Ovidio e che non gli permise di terminarla.


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